Un evento luminoso nel 1181 lega Arabi, Cinesi e Giapponesi

A volte le cronache del passato rivelano indizi che la scienza odierna riesce a illuminare sotto una nuova luce.
Nel Medioevo, non erano solo gli storici a registrare le gesta degli uomini; anche i poeti e gli astronomi cercavano segni nel firmamento, intrecciando eventi terreni e celesti in un’unica narrazione.
Spesso, una stella apparsa all’improvviso o un bagliore insolito venivano interpretati come presagi di vittorie o di catastrofi imminenti. La volta celeste si trasformava così in un palcoscenico che rifletteva le sorti dei regni e dei condottieri.
Tra quei resoconti, si conserva un’opera che, per secoli, è stata considerata una semplice allegoria o un artificio letterario per celebrare la gloria di un sovrano. Eppure, quelle parole si intrecciano oggi sorprendentemente con i dati raccolti dai telescopi moderni.
Unendo la voce dei poeti a quella degli scienziati, emerge un fenomeno astronomico che nel XII secolo fece alzare lo sguardo al cielo a popoli lontanissimi tra loro.
La stella che illuminò Saladino
Il mistero nasce da un poema dedicato a Salah ad-Din, il celebre Saladino. Il suo autore descrive una “nuova stella” associata all’ascesa del sultano. Per generazioni, si pensava che fosse solo un simbolo poetico o al massimo un riferimento astrologico di circostanza.
Il quadro è cambiato quando le parole del poema sono state confrontate con i resoconti degli astronomi cinesi e giapponesi, che proprio tra il 1181 e il 1182 segnalarono un astro sconosciuto, luminosissimo e persistente. Il tassello decisivo è arrivato secoli dopo: nel 2008, un astrofila ha individuato i resti di una supernova in Cassiopea, la cui età e posizione corrispondono esattamente a quelle cronache medievali.
La poesia come testimone del cosmo
Un team di ricerca ha ricalibrato la datazione del poema, collocandolo negli stessi anni della comparsa della supernova. Quella “stella nuova” non era un artificio retorico, ma l’eco di un’esplosione stellare realmente osservata.
Il risultato è affascinante: un’opera letteraria che si rivela al tempo stesso cronaca astronomica e un fenomeno celeste, unendo tre mondi culturali – arabo, cinese e giapponese – sotto la stessa volta stellata. Ciò che un tempo sembrava un presagio diventa oggi una prova della capacità dell’uomo di registrare, a suo modo, i grandi eventi dell’Universo. In questo intreccio di poesia e scienza, il cielo del XII secolo ci restituisce una lezione senza tempo: le stelle non appartengono a un solo popolo, ma a tutta l’umanità. Osservare lo stesso bagliore ha unito culture lontane, dimostrando che la curiosità è il vero linguaggio universale.



