Storia

Il rimpianto vuoto dell’America per Sacco e Vanzetti.

WASHINGTON – Due giovani immigrati, un calzolaio e un pescivendolo, intrapresero un lungo viaggio per arrivare in America. Nicola, proveniente dalla Puglia, e Bartolomeo, dal Piemonte, sbarcarono a 17 anni a Boston nel 1908, senza conoscersi e senza una reale comprensione del loro destino. Considerati due “dego,” un termine dispregiativo per gli italiani, erano immigrati senza permesso e venivano percepiti come una minaccia per una nazione che aveva bisogno di forza lavoro a basso costo, destando al contempo timori. Durante il processo, Nicola espresse la sua consapevolezza sul motivo della sua presenza: “Gli oppressori devono uccidere gli oppressi per mantenere la supremazia”. In un 14 luglio di 80 anni fa, la giustizia decise per la loro condanna a morte.

Oggi, a distanza di 80 anni di vergogna, è difficile immaginare che attorno a questi due sfortunati, Vanzetti con i suoi baffi e Sacco con l’aria innocente, si scatenò l’odio xenofobo in una città civile. Rivedere le loro fotografie, i documenti di quel processo, non è solo una riflessione sul passato di America, ma anche sulle ingiustizie del presente. Entrambi, giunti a Boston, avevano solo 17 anni e nulla sapevano fare se non lavorare duramente. Vanzetti, con una formazione limitata, aveva lavorato come garzone di fornaio, mentre Sacco, contadino, aveva imparato a fare scarpe per sfuggire alle fatiche agricole.

Si trovavano a Boston, in una pensione di un’italiana, dove si unì a una comunità di anarchici e sindacalisti. Leggevano avidamente pubblicazioni sovversive. A quella comunità si unirono trattenendo un disagio crescente per il clima politico: la guerra sfuggita, l’influenza “spagnola”, e il flusso di immigrati dal Europa alimentarono la paranoia dei residenti di Boston. Quando un cassiere e la sua guardia del corpo furono uccisi durante una rapina, la polizia lanciò una caccia agli stranieri.

Due giovani furono arrestati dopo che un passante li riconobbe. La polizia trovò due revolver e un volantino per una conferenza, la cui innocuità era evidente. Eppure, a giudici e agenti non venne mai il dubbio che questi due potessero non essere i colpevoli. Il processo si rivelò una commedia tragica, con alibi ineccepibili e testimoni che correvano in loro favore, ma ciò non bastò. Vanzetti e Sacco, nel frattempo, subivano il crescente peso di pregiudizi e della giustizia politicizzata.

L’errore cruciale del difensore fu quello di trasformare il processo in un processo politico, sperando di mobilitare l’opinione pubblica, invece di spostare l’attenzione dall’accusa. Mentre gli anni passavano, l’esito fu tragico e inesorabile. Sacco e Vanzetti furono condannati a morte. Leggevano avidamente opere di grandi autori, ma prima dell’esecuzione, Sacco chiese al cappellano dell’esistenza dell’aldilà. Il 22 agosto del 1927, quando Mussolini governava l’Italia e Hitler si affacciava in Germania, il loro destino si compì. La loro condanna è stata a lungo considerata un simbolo della follia xenofoba e ideologica. Riflessioni e commemorazioni continuano a ricordare che la storia ha molto da insegnare sul presente.


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