Storia

È presente anche qui, dove la produciamo.

Giunto in Argentina dopo la ‘guerra sporca’, ho osservato le conseguenze della dittatura militare degli anni ’70 e ’80. Ricordo le manifestazioni a Cordoba in memoria degli scomparsi a causa del terrorismo di stato. In Argentina venivano chiamati ‘desaparecidos’, e i loro nomi e volti erano esposti dalle madri e dalle nonne nella Piazza di Maggio di Buenos Aires.

Questa esperienza fu solo un anticipatore di ciò che avrei incontrato in Liberia l’anno seguente. Inviato in Liberia, ho vissuto la fase finale di una guerra civile durata quindici anni. Quando gli occhi sono stati feriti da una guerra, sembrano incapaci di vedere di nuovo. Da quella lacerazione, non si guarisce mai completamente.

Anche in Costa d’Avorio, il mio primo soggiorno in Africa occidentale, si presentarono i segni di un imminente colpo di stato militare, preludio a una crisi post-elettorale che avrebbe portato a una guerra civile che divise il Paese. Gli effetti di questa crisi li ho incontrati attraverso i rifugiati approdati nel Niger, dove mi trovavo da circa un anno. Madri, padri e bambini che avevano perso tutto cercavano di ricominciare da un Paese che, negli anni, aveva rappresentato un modello di stabilità.

La guerra si manifestava nei suoi effetti drammatici e spesso invisibili. La sofferenza silenziosa di chi deve ritrovare la fiducia nella vita e negli altri, nonostante le ambiguità del mondo umanitario. Troppo spesso rifugiati, ma senza un reale rifugio.

Il Sahel, zona che attraversa l’Africa dall’oceano Atlantico al Mar Rosso, è diventato uno dei centri del terrorismo ‘islamista’ globale. La distruzione della Libia a seguito dell’intervento della Nato e l’assassinio di Mu’ammar Gheddafi nel 2011 hanno contribuito a generare una guerra che continua a insanguinare questa parte del Continente.

Migliaia di morti, per lo più contadini invisibili, e giovani militari spesso mandati allo sbaraglio da capi militari al potere. Questi ultimi preferiscono gli uffici e i redditi dei ministeri che occupano abusivamente, piuttosto che affrontare la durezza del ‘fronte’. È un’altra guerra che permea la vita di chi vive in uno stato di terrore, sfollato, abbandonato e spesso sacrificato nelle dinamiche geopolitiche.

Poi ci si rivolge al Nord, in occidente; la guerra sembra lontana, ma è presente, accanto e soprattutto dentro. Non se n’è mai andata. Esportata, fabbricata e commerciata, essa è voluta e subita. Nella nord Europa, la Nato continua una guerra per procura, legata al maggiore stato terroristico dei recenti periodi storici, mentre d’altra parte del Mediterraneo, lo stato di Israele organizza un laboratorio di controllo e esclusione, simile a politiche del passato.

Questa guerra si riflette nella mente, nel cuore e nell’immaginario collettivo, influenzata dai produttori di armi, dai politici collusi e da religiosi silenziosi.

Una dichiarazione di Kuala Lumpur, capitale della Malesia, risuona ancora; nel dicembre 2005, si affermò che le guerre che uccidono persone innocenti sono criminali, e uccidere in guerra è tanto criminale quanto farlo in tempo di pace. Criminalizzare la guerra è un passo necessario per percorrere il sentiero della pace.


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