Storia

Decapitazione della mummia di Tutankhamon: un cambio di approccio

Un secolo fa veniva scoperta la mummia di Tutankhamon a novembre del 1925. L’evento, condotto da una squadra di esperti, si concentrò sull’apertura dei sarcofagi che avevano protetto per millenni i resti del faraone, conosciuto oggi come uno dei più famosi al mondo, nonostante le poche informazioni disponibili al riguardo. I dettagli contemporanei possono apparire violenti e raccapriccianti. Le decisioni per liberare il corpo del faraone vanno contestualizzate. All’epoca, c’era una concezione diversa delle mummie e si cercava di ottenere quante più informazioni possibile, anche a costo di danneggiarle.

Tutankhamon “imprigionato”

La tomba del faraone bambino, siglata KV62, fu scoperta nel 1922, ma ci vollero anni prima che i tre sarcofagi (quattro se consideriamo quello esterno di quarzite) fossero aperti. Già dal sarcofago intermedio, in legno dorato, si notò qualcosa di strano: era macchiato di nero e incollato alla cassa più grande. Una volta tolto il coperchio, il sarcofago interno in oro appariva quasi del tutto nero, coperto da una sostanza simile a melassa solidificata. Questa melassa era composta da unguenti e resine utilizzate dagli Antichi Egizi sia a scopo rituale che per preservare i corpi. Di conseguenza, raggiungere la mummia richiese notevoli sforzi.

L’estrazione di Tutankhamon

Carter e il suo team si trovavano in una situazione inedita. Nonostante la qualificazione del gruppo, ci vollero diversi tentativi per riuscire. Inizialmente, si tentò di portare il sarcofago all’esterno per esporlo al sole, ma il metodo non ebbe successo. Successivamente, la cassa venne posizionata ‘a faccia in giù’ su dei cavalletti, protetta con stoffe bagnate e coperta da lastre di zinco per proteggerla dal calore di una lampada. Questo approccio risultò efficace e il corpo si staccò dal sarcofago.

L’autopsia e la decapitazione

I resti di Tutankhamon furono disponibili per le indagini anatomiche. Tuttavia, la presenza delle resine rese il processo complesso, spingendo il team a un approccio più aggressivo. I due anatomopatologi del gruppo effettuaron un’autopsia, decidendo di smembrare la salma per analizzare il corpo. Venne praticato un taglio per separare gambe e bacino e altri per le spalle, gomiti e polsi. La testa fu recisa per liberare la maschera funeraria. Sebbene questo possa sembrare macabro oggi, all’epoca simili pratiche erano considerate normali per raccogliere informazioni, rimuovendo oggetti posizionati tra le bende o adornanti il corpo, e prelevando campioni dalle ossa.

Luci e ombre dell’operato

Oggi le operazioni effettuate sul corpo del faraone nel 1925 appaiono brutali. Dettagli di questo tipo sono assenti nei resoconti della scoperta e nei registri di scavo. Inoltre, le fotografie della testa separata dal corpo non sono tra le più comuni. Ci sono però lati positivi nel lavoro, con una metodologia precisa e una documentazione dettagliata tra cui materiale fotografico e disegni che hanno immortalato l’autopsia e il processo di conservazione dei reperti.

Un approccio moderno ai resti umani

Negli ultimi venti anni l’interesse per i resti umani è cresciuto notevolmente. Si avverte la necessità di trattare i corpi dei defunti come individui, portando a interrogativi sulle modalità degli scavi e sulle collezioni museali. Oggi è possibile ottenere informazioni senza danneggiare i corpi grazie ai progressi scientifici e tecnologici. Le tecnologie come radiografie e risonanze consentono di analizzare strutture senza intaccare i reperti, distinguendo la posizione e natura degli oggetti presenti.


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