David Remnick e l’ineffabile indecisione dell’Impero.

Riflettendo sull’esperienza di corrispondente da Mosca tra il 1988 e il 1993, si può notare l’apparente qualità romanzesca degli eventi osservati. Spesso si percepiva l’illusione di trovarsi di fronte a una storia ben definita, con un inizio, uno sviluppo e una fine, come se fosse stata sapientemente orchestrata per essere raccontata.
Il tema centrale riguardava gli ultimi giorni dell’Unione Sovietica, che si prestavano perfettamente a una narrazione in grado di chiudere un ciclo storico. Si è quindi apprezzato il fatto che, nel libro risultante da quegli anni di lavoro, non vi sia stata una facile adesione a schemi narrativi o alla nozione di una presunta “fine della Storia”.
Il volume affronta il concetto di un “non finito” negli eventi e la “vaghezza del reale”. Riconoscendo che il crollo dell’Urss avrebbe avuto ripercussioni prolungate nel tempo, si sviluppa una trama aperta al presente, invitando il lettore a riflettere su come questi eventi continuino a influenzare contemporaneamente il presente. Dal proprio punto di osservazione a Mosca, l’autore testimonia il recupero delle memorie delle vittime delle repressioni staliniane e il coraggio di progetti artistici significativi, accennando anche alle aperture di Gorbačëv nei confronti della destalinizzazione.
Come evidenziato da un importante consigliere del PCUS, la Storia rimane costante, ma le persone possono cambiare; gran parte del libro esamina la revisione della linea del Partito in epoca di perestrojka. Non si presenta come un critico ingenuo di Gorbačëv, né come un suo ammiratore acritico, ma evidenzia sia i lati positivi che quelli negativi del suo operato.
Con l’arrivo di Gorbačëv al potere, si è assistito a un avvicinamento tra le aspirazioni di un leader del Cremlino e quelle dell’intelligencija democratica. Tuttavia, quella stessa fiducia in una “rivoluzione dall’alto” ha incontrato ostacoli sia nell’opposizione interna del Partito sia nelle aspettative della società civile. Nel libro si esplorano con dettaglio i sentimenti dell’epoca, dalle speranze degli imprenditori emergenti agli incontri con i nostalgici di Stalin.
Il testo dimostra una notevole capacità di ascolto nei confronti di una società complessa e spesso disorientata. La connessione personale con l’Unione Sovietica, pur essendo distante, fornisce una prospettiva unica, suggerendo un’accattivante ambivalenza nei confronti della storia. Si affrontano anche paralleli divertenti e drammatici, come l’ammirazione di una donna per Stalin, che mette in evidenza l’intreccio tra apprezzamenti e resistenze nei confronti del passato.
La narrazione culmina nella ricostruzione dei fatti del 1991, che portano alla dissoluzione dell’Urss, includendo eventi significativi da gennaio fino alle dimissioni di Gorbačëv a dicembre. L’entrata di El’cin al Cremlino viene descritta con un tono diretto, evidenziando l’atmosfera di disillusione del momento. La Storia continua a svilupparsi, nonostante le convinzioni contrarie, e il vuoto lasciato dalla dissoluzione si riempie di resentimenti, aspirazioni e orgoglio ferito, elementi che continuano a influenzare la Russia attuale.
In un’osservazione chiave sulla fragile transizione della Russia alla democrazia, viene evidenziato come l’Occidente non possa permettersi di ignorare questo processo, poiché le sue ripercussioni possono rischiare non solo la stabilità russa, ma anche la sicurezza globale.