107 anni dalla caduta dei Romanov

Nicola II, salito al trono nel 1894, era descritto come un uomo privo di immaginazione e indeciso, che dovette affrontare la rivoluzione interna e il disastro di una guerra mondiale. La sua fiducia nel diritto divino di regnare non bastò a proteggere la dinastia. La polizia segreta, l’Ochrana, operava senza controllo, mentre la sua gestione delle guerre e delle rivolte interne lo rese sempre più impopolare. Nonostante le avversità, Nicola e Alessandra erano uniti da un forte amore. Tuttavia, la salute del loro unico figlio maschio, Aleksej, affetto da emofilia, rese la famiglia vulnerabile. Fu in quel contesto che Grigorij Rasputin, un mistico siberiano, entrò a far parte della loro vita, diventando una figura influente, in particolare per Alessandra. La sua presenza a corte alimentò il risentimento popolare e contribuì al declino della famiglia.
Dopo l’abdicazione di Nicola nel 1917, i Romanov furono tenuti prigionieri dai bolscevichi. Inizialmente confinati a Carskoe Selo e poi trasferiti a Tobol’sk, vissero un periodo di relativa tranquillità. Tuttavia, le speranze di un esilio sicuro svanirono quando furono portati a Ekaterinburg, una città fortemente anti-zarista. Qui, nella Casa Ipat’ev, la loro sorte era segnata. Nella notte del 16 luglio 1918, furono condotti nel seminterrato della casa con il pretesto di un trasferimento per la loro sicurezza. Fu lì che il loro carceriere lesse la sentenza di morte. In pochi minuti, la famiglia imperiale e i loro servitori furono brutalmente uccisi. I corpi furono poi dispersi e nascosti, alimentando speculazioni e leggende sul loro destino.
Solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la verità sulla fine dei Romanov iniziò a emergere. Nel 1991, i resti di nove persone furono esumati e identificati come membri della famiglia imperiale e del loro seguito. Nel 2007, furono ritrovati anche i resti di Aleksej e Marija, confermando definitivamente la tragica fine della dinastia.