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Sempio e la nuova vita: meditazione, yoga e piante grasse.

Il cambio di vita dopo essere stato indagato. La legale: «L’hanno inseguito in auto»

Cambia case, negozi, paesi. Si sposta da Montebello a Voghera a Pavia a Garlasco a Vigevano. Non scappa dai carabinieri e neppure dalla giustizia. Andrea Sempio scappa dai giornalisti. «Le sue giornate sono un inferno», racconta l’avvocata Angela Taccia, legale e confidente dell’indagato. «L’altro giorno per poter parlare ci siamo nascosti in un parco. Domenica mi ha chiamato terrorizzato dal negozio: “Sono qui a Montebello, è entrato Fabrizio Corona e ha iniziato a urlare”. Andrea ha chiamato le guardie e l’hanno nascosto in uno sgabuzzino. Siamo alla follia. Ma poi l’ha pure inseguito in macchina…».

C’è un problema: il lavoro. Sempio lavora come commesso alla Wind 3 di Montebello della Battaglia, dove ha ripreso a servire i clienti dopo lo choc della nuova indagine. «Gli hanno detto che se continua l’assedio sono costretti a lasciarlo a casa. Ha chiesto di cambiare sede per non disturbare i colleghi. È sempre stato così, lo chiamiamo Gandhi per la sua calma e altruismo».

In questa brutta storia c’è una dicotomia: da una parte lavorano inquirenti serissimi, come il procuratore Fabio Napoleone, che hanno messo in campo le più avanzate tecnologie per mettere in fila diversi indizi, come l’impronta palmare sul muro della scala vicino al corpo insanguinato di Chiara: «È di Sempio».

Conclusione: l’assassino potrebbe essere lui, amico del fratello minore della vittima, e non il fidanzato Alberto Stasi, che sta scontando la pena per quel delitto. E così il pendolo oscilla fra due estremi: fra l’uomo diabolico e il perseguitato, fra il mostro capace di gabbare tutti e di far condannare un innocente, e l’anima candida che sta subendo una gigantesca ingiustizia, simile a Josef K, l’impiegato di banca protagonista del Processo di Kafka. Nel pieno della tempesta, Sempio cerca una faticosa normalità: «Il lavoro mi aiuta a non pensare in continuazione a questa vicenda».

Taccia, che trascorre ore a parlare con lui, lo sente spesso. «Ehi Andrea, tutto bene?». «Pronto Andrea, girami quel numero se puoi». «Dimmi Andrea». Si conoscono da un’eternità, erano parte dello stesso gruppo di amici a Garlasco. «Lui era il paciere della comitiva, diceva che litigare è tempo perso ed era il più sbadato, l’ultimo a sapere dei pettegolezzi».

Sbadato, gentile e misurato. «Attenzione, si chiama controllo delle emozioni», avvertono gli esperti che studiano i suoi atteggiamenti. Era una compagnia di ragazzi d’altri tempi. «Quando venivano da me in Costa Azzurra, andavamo al mare o a passeggiare. Il lunedì al mercatino dell’antiquariato. Lui mi chiamava la randagia da divano».

Queste giornate nere del suo amico Gandhi, figlio di operai, sono così descritte: «Si alza presto al mattino, fa meditazione e yoga per mantenere la calma, senza farmaci. Poi sistema casa, dove vive da solo, e si prende cura delle sue piante. Va al lavoro, torna, fa un giretto in campagna, si lava e legge. Non ha la tivù, se vuole vedere un film usa il pc».

Prima dell’indagine, usciva con gli amici. «Ora non lo fa per non metterli in difficoltà». Insomma, Sempio è un uomo solo. Non ha una fidanzata. «Non ora». Passioni? «Adora gli animali, la birra artigianale, il Krav Maga di cui era diventato istruttore, e le biblioteche. Sogna di fare lo scrittore, ha il mito di Emil Cioran».

E la politica? Comunista? «Ha idee di sinistra ma non estreme, pensa che non ci sia differenza fra opposti estremismi. Non frequenta la chiesa, non è un mangiapreti, e al Santuario della Bozzola non c’è mai andato e non collega il delitto di Chiara con la religione». Quel foglietto dove aveva scritto «ho fatto cose brutte, immaginabili»? «Può aver scritto qualcosa di simile perché, nei giorni no, scrive sul diario».

L’impronta palmare? «Lui è netto: “Se è di sangue non può essere la mia, ho la forza della coscienza pulita”». Chiara? «Per lui era solo la bravissima sorella di Marco». Dalle parti della Procura si pensa in un altro modo: quell’impronta è sua. E lui: «Può essere, ma non sono io l’assassino». Diavolo o santo?


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