Migranti, Meloni critica la Convenzione sui diritti umani.
Italia e Danimarca intendono rivedere l’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in merito alla gestione dell’immigrazione. Hanno annunciato una lettera, firmata anche da altri sette Paesi europei, in cui criticano l’attività della Corte di Strasburgo. L’obiettivo è ripristinare un equilibrio nelle letture delle norme, lamentando che certe interpretazioni ostacolano la possibilità degli Stati di agire per la sicurezza dei cittadini, in particolare riguardo all’espulsione di stranieri condannati per reati gravi. È stata sollevata la domanda se le interpretazioni attuali siano in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini. La premier danese ha evidenziato la difficoltà di espellere stranieri colpevoli di reati.
L’accusa alla Corte riguarda l’estensione eccessiva dell’ambito di applicazione della Convenzione, limitando così la capacità degli Stati di prendere decisioni politiche. In particolare, si fa riferimento a sentenze che impediscono espulsioni basate sul diritto alla vita familiare o al rischio di trattamenti inumani e degradanti nei Paesi di origine. Le affermazioni dei leader indicano che la sicurezza dei cittadini rispettosi della legge dovrebbe avere priorità su altre considerazioni.
Le ragioni di tali affermazioni si radicano nelle sentenze CEDU e nei principi della Convenzione. La Corte europea dei diritti dell’uomo, organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa, è stata istituita per garantire l’applicazione e il rispetto dei diritti sanciti nella Convenzione del 1950, considerati fondamentali per la giustizia e la pace nel mondo. La Corte tutela un ristretto gruppo di diritti fondamentali per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla cittadinanza. Ciò solleva interrogativi quando le politiche governative cercano interpretazioni diverse dei diritti per specifiche categorie di individui. Le decisioni della Corte in ambito migratorio riguardano principalmente la violazione di articoli fondamentali, come il divieto di tortura, il diritto alla libertà, e il diritto alla vita privata e familiare, con particolare attenzione all’impossibilità di derogare al divieto di trattamenti inumani.
Alcune sentenze hanno già comportato condanne per l’Italia riguardanti i respingimenti e le condizioni di detenzione negli hotspot. Il governo danese è rimasto colpito da una sentenza che ha valutato un’espulsione in base al diritto alla vita privata e ha ritenuto che le autorità avessero dato troppo peso alla gravità del crimine. Questa questione si interseca con il caso di un individuo passato attraverso vari centri di accoglienza e successivamente, tragicamente, in carcere. Nonostante ciò, i governi richiedono priorità nel contrasto all’immigrazione e al rimpatrio di chi deve essere espulso. La Corte europea è invitata a prendere nota di tali esigenze.
Da considerare è la funzione della Corte EDU, che opera per garantire il rispetto dei diritti fondamentali. La sua autonomia è critica per valutare l’operato degli Stati, specialmente nei casi che coinvolgono individui vulnerabili. Premere sulla Corte, manifestando disapprovazione verso l’ordinamento giuridico che tutela i diritti fondamentali, può compromettere la sua indipendenza e indebolire il sistema di protezione dei diritti umani in Europa. L’idea che l’interpretazione dei diritti possa cambiare nel tempo, se applicata ai diritti universali, espone a rischi elevati, poiché i diritti appartengono a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro condizione.