Licenziata maschera della Scala per “Palestina libera”.
Una giovane maschera, licenziata dalla Scala di Milano, ha gridato “Palestina libera” durante l’arrivo della presidente del Consiglio per un concerto. Non si conosce il suo nome, ma si sa che è una studentessa universitaria. I sindacati avvertono il timore di possibili ritorsioni e minacce, motivo per cui la ragazza ha scelto di rimanere nascosta.
Dalla direzione del Teatro non ci sono dichiarazioni ufficiali. La ragazza è stata convocata e accusata di aver violato l’ordine di servizio, poiché il suo posto era nel terzo ordine di palchi e non in prima galleria, dove ha protestato senza riuscire a srotolare la bandiera palestinese. È stata bloccata dalla polizia, ed è stato il sovrintendente a firmare il licenziamento. Il sindaco di Milano ha dichiarato di non essere al corrente della questione e ha promesso di parlarne con il sovrintendente.
Secondo un rappresentante sindacale, si sarebbero potuti adottare provvedimenti meno severi, come sanzioni temporanee o la non rinnovo del contratto, piuttosto che un licenziamento immediato. La direzione sembra aver optato per una misura esemplare, considerata eccessiva dal sindacato, che sottolinea come in passato siano state tollerate azioni illecite da parte di personale senza che ci fossero conseguenze simili. La situazione viene vista come un avvertimento per chi desidera esprimere le proprie opinioni con libertà.
Il tema di Gaza è diventato delicato in Europa e negli Stati Uniti, riflettendo sulla crescente difficoltà di affrontare argomenti che suscitano opposizioni forti. Le azioni contro chi protesta rivelano la volontà di mantenere un certo silenzio su questioni considerate rischiose. La vicenda della maschera ne è un esempio significativo.
Questo caso mette in luce la disobbedienza civile, un atto di protesta consapevole contro ciò che si considera ingiusto. Il gesto della giovane porta alla luce una tradizione di attivismo, ma ora si vive un contesto in cui la paura di ritorsioni silenzia le voci di dissentire, lasciando le azioni di chi si oppone all’anonimato. C’è un soggetto, ma non c’è un nome.