Leone XIV e il cristianesimo “suprematista” di Vance.
Melloni: «La Chiesa cattolica ha tanti guasti e mali, ma non cederà mai sulla sua ragion d’essere, l’unità della famiglia umana». E su Leone XIV: «Di lui non sappiamo niente. Non c’è un libro, una raccolta di omelie, niente».
Uno magari si aspetterebbe una risposta circospetta, del tipo «è troppo presto» o «difficilmente la questione si porrà in termini così espliciti»; ma i lettori conoscono bene lo stile dritto e coinvolgente dello storico delle religioni. Dunque la sua risposta è questa:
«Sì, lo sarà oggettivamente. E le dirò di più. Qualunque papa eletto in questi giorni sarebbe stato l’anti-Trump. Nessuno arretrerebbe di un millimetro di fronte alla sua offensiva. E sa perché? Perché la Chiesa cattolica ha tanti mali, dalla corruzione alla pedofilia, ma non cederà mai sulla sua stessa ragione d’essere, l’unità della famiglia umana».
È solo l’inizio: la chiacchierata con Melloni ha molti altri punti stimolanti, a cominciare dal ruolo che Prevost ha avuto prima di diventare papa. Il 4 febbraio, da cardinale, «Prevost ha polemizzato frontalmente con J.D. Vance e ha assunto una posizione che era una controfirma alla lettera di Francesco ai vescovi americani che stigmatizzava la politica delle deportazioni».
Prima di chiedere a Melloni altri dettagli, un riassunto delle puntate precedenti: tutto è cominciato con il vicepresidente, convertitosi alla Chiesa di Roma nel 2019, che ha appoggiato le deportazioni di immigrati latino-americani in modo arbitrario.
In appoggio a Trump, Vance ha addirittura citato sant’Agostino, un santo a lui caro, e la teoria dell’ordo amoris, rielaborata da Tommaso d’Aquino.
L’ordine giusto dell’amore, nella controversa interpretazione di Vance, è questo: «Il concetto cristiano è che si ama la propria famiglia, poi il prossimo, poi la propria comunità, e infine il resto del mondo».
Si può discutere su quanto la crudezza di Vance riveli l’ipocrisia tipica dei conservatori. Quello che interessa è lo scatto immediato di Bergoglio e Prevost. Vance si è scagliato contro la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, accusandola di sostenere gli immigrati solo per i fondi federali. Anche il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, gli ha risposto, definendo la sua affermazione «scurrile» e «molto sgradevole».
Ma la risposta più forte a Vance è arrivata da Francesco, che ha radunato le forze per un’ultima battaglia. In una lettera ai vescovi americani, ha affermato: «La coscienza rettamente formata non può esprimere dissenso verso misure che identificano lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità».
Poi, senza citarlo, si rivolgeva chiaramente a Vance: «I cristiani sanno molto bene che è solo affermando la dignità infinita di tutti che la nostra identità di persone e di comunità giunge a maturazione. L’amore cristiano non è qualcosa che si espande concentricamente. La persona umana è un soggetto dotato di dignità».
E qui arriviamo a Prevost, alla sua sortita social del 4 febbraio. Ma Prevost ha fatto molto di più: ha detto al Papa che bisogna reagire, da cui la lettera di Bergoglio.
Una lettera con quei toni fu scritta da un pontefice solo una volta, nella Pasqua del 1937, quando Pio XI si rivolse ai vescovi tedeschi per denunciare il governo. Questo passo è un’escalation clamorosa. Non c’è nulla di sant’Agostino che possa essere usato nei termini di Vance.
Dietro ogni parola del vicepresidente c’è uno staff composito. Quella frase su sant’Agostino nascondeva un’operazione precisa: conquistare il cattolicesimo romano. La risposta del duo Bergoglio-Prevost è stata durissima. E Vance ha allora proposto un compromesso.
Il suo messaggio era chiaro: «Niente conquista, mettiamoci d’accordo, possiamo rinunciare agli evangelici se voi ci date un riconoscimento».
Bergoglio ha risposto con una provocazione: «Gli ha dato tre ovetti Kinder per i suoi figlioletti con sopra il prezzo. Puro sadismo gesuita».
Dietro il post di Prevost c’è uno scontro su quelli che sono i valori cristiani, sui voti cattolici in America e sul ruolo della Chiesa di Roma.
È istruttivo andare a vedere cosa postò Prevost. Due articoli, senza commenti, come a dire che li condivideva in toto: uno sull’immigrazione e l’altro sul fatto che «Gesù non ci chiede di classificare il nostro amore per gli altri».
Sawyer offre un quadro chiaro dello stato della Chiesa americana, evidenziando la divisività del tema immigrazione: «Il 56% degli elettori cattolici, e il 60% degli elettori cattolici bianchi, hanno votato per Trump nel 2024». La gerarchia dell’amore di Vance è stata criticata da Armas, che afferma che l’amore di Gesù non può essere calcolato o condizionato.
Tutto postato da Prevost. Ritorniamo a Melloni, che dice: «È difficile dirlo. Di questo papa non sappiamo niente. Non c’è un libro, una raccolta di omelie. È previsto che non arretrerà, come dimostra lo scontro con Vance. Ma bisognerà vedere come gestirà ora che il capo è lui».
Si prevede una certa continuità con Leone XIII: entrambi si confrontano con le rivoluzioni del tempo. Centrale sarà il tema della guerra e della pace, mentre il mondo si avvicina a conflitti tra potenze nucleari.
Quanto alla sua presunta freddezza sul mondo Lgbtq+, tutto ciò sembra prematuro. Durante questi giorni tra i cardinali, uno ha chiesto una frenata, ma il nuovo papa ha ribadito che la Chiesa è di “tutti”.
Questo segna un’apertura: un cristiano si chiede perché le persone debbano soffrire per il fatto di amarsi. Leone XIV ha detto «tutti, tutti, tutti».