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Il rito sbagliato dell’indignazione

Il nostro tempo è caratterizzato dall’incapacità di affrontare il male e la violenza con un approccio che vada oltre la semplice indignazione. Non si cerca di conoscere la verità o di alleviare il dolore delle vittime; l’unico obiettivo appare essere quello di marginalizzare chi si discosta dalla narrazione politicamente corretta. Tale approccio non tutela realmente i deboli ma serve piuttosto a sopprimere il pensiero critico in relazione ai dogmi progressisti. La pressione esercitata su questa ideologia si manifesta in vari ambiti e contesti sociali. Certi temi obbligano a recitare un copione predefinito.

Un esempio significativo è quello del femminicidio. Prendiamo in considerazione il caso di Vincenzo Mauro, professore di statistica all’Università di Macerata. Egli cerca di dimostrare, con dati oggettivi provenienti da fonti attendibili, che l’emergenza femminicidio è infondata. Le sue posizioni lo portano a essere etichettato come “un pazzo criminale”. Mauro sostiene che l’Italia è tra i Paesi con il minor numero di femminicidi, e che tali eventi sono in calo. Nonostante le minacce ricevute, continua a esprimere la sua verità e a presentare i dati con serenità. La realtà statistica parla di un rischio molto basso di femminicidio in Italia.[…] Nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni, il rischio è addirittura il più basso, mentre la maggior parte degli omicidi riguarda donne anziane. Alcuni insistono su dati più recenti, ma essi confermano un trend di ulteriore diminuzione.

Ogni omicidio di donna rappresenta un crimine terribile. Tuttavia, la questione centrale è perché si alimenti un sistema di emergenze e valori distorti attraverso l’ignoranza. La vera emergenza sociale risiede nell’assassinio del pensiero critico e nell’emarginazione di chi lo sostiene. Mauro osserva che il clima attuale è isterico e divisivo, e danneggia la lotta contro la violenza di genere, alimentando odio invece di favorire la comprensione.

Il dibattito pubblico è spesso guidato da parole chiave che devono seguire un copione. Si pronuncia un termine come “femminicidio” e immediatamente si attivano risposte predefinite, con i volti che riflettono le emozioni richieste. Chi si discosta dalla narrativa dominante rischia di essere isolato e soggetto a condanne morali. Questo sperimento si riflette nella mia esperienza personale; qualsiasi giudizio o battuta lascia spazio a critiche e attacchi organizzati da gruppi di individui che non cercano il dibattito ma l’emarginazione.

Queste persone raramente sono singoli, ma rappresentano enti spesso anonimi e agiscono per eliminare qualsiasi dissenso dalla scena pubblica. Nonostante ciò, non tangentano al mio benessere; la mia esistenza prosegue, poiché la mia età mi consente di affrontare tali pressioni senza timore. È probabile che, anche dopo la mia morte, questi gruppi continuino a cercare di silenziare le voci critiche.

Infine, desidero citare un episodio personale. Durante una trasmissione di intrattenimento ho risposto a una domanda con una battuta. Venendo interrogato sull’argomento dei braccialetti elettronici, ho offerto una risposta paradossale. Creato un tono di satira, ho cercato di sottolineare che, nonostante le preoccupazioni, ci sono persone per bene nel mondo.


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