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Il bene, che rabbia

Il male gode di ottima salute mediatica e suscita più curiosità che indignazione, come dimostra un sondaggio apparso in una chat scolastica di Bassano del Grappa: «Chi meritava di più di essere uccisa, Chiara Tramontano o Giulia Cecchettin?». In compenso, il bene stanca molte persone, specialmente quelle che tendono a minimizzarlo considerandolo una «storiella edificante». È recentemente accaduto a un’impiegata di banca lombarda, tornata in Kenya per denunciare tre rapinatori che l’avevano ferita con un machete durante le vacanze di Natale. Dopo aver riconosciuto il capo della banda e compreso le sue difficoltà economiche e familiari, non si è limitata a perdonarlo, ma gli ha anche pagato un corso di italiano per aiutarlo a trovare impiego in una struttura turistica locale. La reazione sui social è stata di condanna e dileggio. Perché fare del bene a chi ti ha fatto del male, invece di aiutare chi non ti ha fatto nulla e magari abita vicino? Spesso chi sostiene queste opinioni non aiuta mai nessuno, nemmeno chi è in difficoltà nelle vicinanze. Probabilmente è per questo che il bene infastidisce più del male: spinge le persone ad agire, mentre molti preferiscono limitarsi a osservare e giudicare.


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