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Garlasco: elementi della condanna di Stasi e prove contro Sempio.

Cosa dice la sentenza sul delitto di Chiara Poggi. La ricostruzione alternativa dell’indagine di oggi

L’omicidio di Chiara Poggi ha un colpevole. Il giallo di Garlasco ha un nuovo indagato. Un condannato in via definitiva e un sospettato: Alberto Stasi o Andrea Sempio. Il primo è stato giudicato responsabile del delitto e ha visto negato un tentativo di revisione. L’altro è solo indagato nell’inchiesta «alternativa» sul delitto di Garlasco, un’indagine ancora alle prime battute.

Non sono complici

Attualmente, Sempio e Stasi sono uniti dal capo d’accusa di concorso per l’omicidio della 26enne avvenuto il 13 agosto 2007. Un tecnicismo giuridico, in quanto Stasi è stato condannato «oltre ogni ragionevole dubbio» e la sua sentenza non è stata contestata nonostante le nuove indagini. Stasi ha scontato dieci dei sedici anni di condanna, e per gli inquirenti non ci sono elementi per pensare a un omicidio che li coinvolga come complici.

Alla fine di questo capitolo — sia che si arrivi a un’archiviazione o a un rinvio a giudizio — uno dei due certamente non sarà l’assassino. Prima che i carabinieri riscrivano (eventualmente) questa storia, è fondamentale tenere presente l’unica verità giudiziaria del caso Garlasco confermata dalla sentenza definitiva della Cassazione del 2015.

La telefonata al 118

A incriminare Stasi sono dieci punti evidenziati nella sentenza d’appello bis del dicembre 2014. Per i giudici «la lettura congiunta di tutti i dati probatori» conduce «a identificare l’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, come l’assassino della fidanzata». La vittima conosceva il killer, che è entrato in casa.
Poi, c’è l’assenza di un alibi: «Le attività dichiarate da Stasi permettono di collocarlo sulla scena del crimine in una “finestra temporale” compatibile con il delitto». Ci sono indizi legati ai suoi movimenti e all’assenza di tracce di sangue sulle sue scarpe e sull’auto. La telefonata al 118, dove Stasi ha subito parlato di un incidente domestico, è interpretata come un grave indizio nei suoi confronti: «Il suo racconto è quello dell’aggressore, non dello scopritore».

Scarpe numero 42

Le prove scientifiche hanno convinto i giudici, incluse le impronte digitali trovate sul dispenser del sapone. Inoltre, «L’assassino calzava scarpe numero 42, Stasi possedeva e indossava scarpe di quel numero». Infine, il Dna trovato nel materiale sottoungueale della vittima non ha fornito indicazioni risolutive sulla sua identità.

L’impronta 33

I magistrati che indagano oggi, invece, percorrono una via diversa. Non basta sostituire il nome di Sempio a quello di Stasi per avere una ricostruzione alternativa del delitto. In gioco ci sono esecutori, orari e movente. Sono tre i punti contro Sempio, già indagato e archiviato nel 2017. Il primo è proprio il Dna, atteso l’incidente probatorio. C’è poi l’impronta «papillare 33», attribuita a Sempio sul muro delle scale vicino al corpo della vittima. Il terzo riguarda l’alibi: per gli inquirenti, non ci sono certezze sui suoi movimenti nella mattinata del delitto, nonostante le testimonianze contrarie.


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