Senza patente sui social, si perde il controllo.


Esiste una teoria, tra il serio e il faceto, che pone interrogativi sull’irrazionalità della democrazia, confrontando l’obbligo di esame per la patente di guida con l’assenza di requisiti per poter votare. Questa provocazione diventa molto attuale nel contesto dei social media. È possibile utilizzare piattaforme come Facebook, Instagram, X e TikTok senza una sorta di “patente” per garantirne un uso responsabile? E in situazioni come quella di un professore che minaccia una figura pubblica, il background culturale e professionale da solo non protegge dalle conseguenze delle proprie parole. Ciò che si discuteva in un bar, restando confinato in un contesto informale, può facilmente espandersi e raggiungere una vasta audience online. Le parole affidate ai social possono essere amplificate fino a milioni di persone, e non è accettabile ignorare il loro potere. Trattare le interazioni sui social media come se fossero innocue è paragonabile a dare in mano un’arma a chi non sa cosa sia.
I nuovi media non sono solo spazi per contenuti leggeri; se usati in modo scorretto, possono generare odio e amplificare messaggi dannosi. In un contesto in cui tutti hanno la stessa voce, anche chi esprime deliri potrebbe raggiungere chiunque, compresi i leader. Questa dinamica rende evidente l’irragionevolezza di non richiedere una sorta di garanzia a chi comunica in pubblico, similmente a come si fa per ottenere un patentino per guidare un motorino. Un parallelo tra la responsabilità richiesta nella vita quotidiana e quella necessaria nelle interazioni sociali diventa quindi cruciale per una società più consapevole.