Storia

Il riarmo non promuove la pace, ma fomenta la guerra.

In un tempo in cui la logica del riarmo sembra tornare dominante nel dibattito internazionale, emerge una voce che si oppone a questa tendenza.

Si mette in discussione il principio secondo cui la pace si garantirebbe armando gli eserciti, evidenziando come la storia dimostri il contrario.

È critica verso la cultura del merito, che, se assolutizzata, legittima la disuguaglianza, e denuncia il fallimento dell’Europa nel costruire un progetto politico unificato. Propone un’idea di pace radicale, fondata sulla dismissione degli armamenti e sul coraggio del dialogo, richiamando valori che ispirarono i padri fondatori dell’Unione Europea. Un’analisi che interroga la politica e la coscienza di tutti.

INTERVISTA

Eccellenza, in una precedente intervista è stato detto che il motto latino «si vis pacem, para bellum» è il proverbio più smentito dalla storia, visto che l’Impero romano, fondato su questo principio, fu infine distrutto dalla logica della potenza e della guerra. Tuttavia, recentemente, alcuni esponenti istituzionali hanno rilanciato l’idea che la pace si conserva solo attraverso una difesa adeguata, intesa non come minaccia ma come deterrenza.

È legittima una geopolitica che misura la pace sul bilancio della difesa?
Direi di no. Lo dimostrano i fatti storici, in particolare dal secolo scorso, segnato da due guerre mondiali e dalla Guerra Fredda. Si sono costruiti arsenali enormi, si è moltiplicato il numero delle bombe atomiche, eppure la pace non è arrivata. L’unica deterrenza efficace finora è stata che nessuno ha ancora usato le armi nucleari. Preparare armi implica, prima o poi, usarle, generando conflitti dove non ce ne sarebbero stati. Le grandi potenze alimentano i conflitti e sperimentano la loro forza attraverso le guerre delegate.

Anche altri attori internazionali hanno abbandonato il dialogo a favore della forza?
Sembrerebbe proprio così. Anche nazioni storicamente neutrali hanno cambiato posizione, come la Finlandia, che è entrata nella NATO, abbandonando il suo tradizionale disarmo.

L’Iran si stava riarmando…
Questo è da dimostrare, mentre è provato che l’Occidente ha alimentato tensioni e guerre negli ultimi decenni. Anche se regimi come quello di Assad in Siria o Saddam Hussein in Iraq non erano esempi di democrazia, le guerre civili sono esplose solo dopo l’intervento esterno.

Quale discernimento dovrebbe compiere l’Europa oggi?
Serve un cambio radicale. Se si desidera la pace, bisogna smettere di investire negli armamenti. Negli anni ’70-’80, si cominciò a ridurre le armi. Ma, una volta finita la Guerra Fredda, l’Occidente ha ripreso ad armarsi senza un chiaro motivo.

I nuovi equilibri globali sembrano instabili…
Viviamo dentro un sistema che genera solo conflitti localizzati e permanenti. Prendiamo l’Ucraina: armare una parte non è mediazione, è partecipazione indiretta al conflitto.

La minaccia percepita da est ha favorito il riarmo europeo, aumentando la dipendenza da forniture militari esterne.
Esatto. Quante volte la Russia ha invaso l’Occidente? Mai. Non ha bisogno di espandersi a ovest, ma reagisce se la NATO si avvicina troppo.

La Russia è più europea che asiatica: non è un errore averla isolata?
Certo. Geograficamente e culturalmente è parte dell’Europa. L’Europa ha radici comuni che stiamo rinnegando.

Durante un incontro si è proposta l’uscita dell’Italia dalla NATO. Quali sarebbero i passaggi?
Non ci sono studi approfonditi, ma la vera occasione di cambiamento si è persa con la caduta del Patto di Varsavia. L’Unione Europea si è allargata senza diventare una vera unione politica.

La NATO può ancora essere uno strumento di stabilità diplomatica?
Forse, ma servirebbe un cambiamento di leadership. Finora ha seguito solo la logica del riarmo, mentre ci si dovrebbe interrogare sull’investimento in sociale rispetto agli armamenti.

Il riarmo ha costi altissimi e implica capacità offensive. Non è una strada insostenibile?
Finisce per trasformare l’economia in economia di guerra, e un’economia di guerra produce solo distruzioni.

Questa non è la mia Europa. A quale Europa cristiana fa riferimento?
A quella dei padri fondatori, che cercavano di costruire un’unità fondata su valori cristiani e disarmo.

Ha anche criticato la “cultura del merito”. In che senso?
Diventa problematica se alimenta competizione e disuguaglianza. Il Vangelo ci insegna a valorizzare i talenti come dono da mettere a servizio di tutti, non come proprietà privata.

Il suo messaggio è vicino a quello di Papa Francesco, che denuncia la “Terza Guerra Mondiale a pezzi”…
Infatti. Non vedo discontinuità nel messaggio. Il suo approccio si concentra su giustizia sociale, pace ed ecologia.

Grazie per la franchezza e il coraggio.
Grazie a voi per l’ascolto. Serve coraggio per costruire la pace, che è un impegno nelle relazioni e nella solidarietà.


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