Garlasco, dubbi sulle impronte e Stasi sotto accusa.
Le sessanta impronte rilevate con polveri e adesivi all’interno della villetta di via Pascoli a Garlasco presentano un “forte rischio contaminazione”. Questo nuovo elemento si aggiunge all’indagine sulla morte di Chiara Poggi. I para adesivi sono stati repertati poco dopo il delitto del 13 agosto 2007 e, dopo quasi 18 anni, saranno al centro dell’incidente probatorio previsto per il prossimo 17 giugno.
L’impronta numero 10 e i dubbi dell’esperto
Le impronte, prelevate in particolare al piano terra, sono attribuite a persone note o non approfondite perché non ritenute utili. Alcune di esse si trovano sulla porta d’ingresso toccata da soccorritori e carabinieri, diversi dei quali sono entrati senza guanti. In particolare, l’impronta numero 10, vicino alla maniglia interna della porta d’ingresso, ha attirato l’attenzione degli inquirenti. La consulenza tecnica ha già escluso che l’impronta sia riconducibile a Sempio, a Stasi o ai familiari della vittima.
Il genetista Marzio Capra, consulente della famiglia Poggi, ha sollevato una questione: “Sui para-adesivi c’è un forte rischio contaminazione, l’ipotesi è che non avendo utilizzato pennelli singoli per evidenziare ciascuna traccia, non si può escludere che ci sia stato un ‘trasferimento’ di materiale”. Difficile anche ottenere ulteriori risultati dall’impronta 33, attribuita a Sempio, trovata sulla parete della scala dove giaceva il corpo senza vita di Chiara. Questa impronta, priva di sangue come mostrano i test effettuati dal RIS, è stata trovata vicino ai gradini che l’assassino non calpesta.
Le nuove indagini e i dubbi sul caso
La nuova inchiesta della Procura di Pavia riapre il dibattito sul caso Garlasco. Sull’amico del fratello della vittima c’è un’indagine coperta da segreto istruttorio, mentre per l’allora fidanzato resta una condanna definitiva.
La Procura di Pavia non si è mai occupata di Alberto Stasi, all’epoca c’era Vigevano poi la Corte d’Appello di Milano. Le richieste di archiviazione di Sempio, firmate dall’ex PM Mario Venditti, hanno ottenuto l’approvazione di due diversi giudici e fanno parte dei tentativi della difesa Stasi di riaprire i giochi, tra cui due tentativi di revisione davanti alla Corte d’Appello di Brescia. Di recente, il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che il processo a Stasi è stato equo. I magistrati si sono occupati del condannato riconoscendo la sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Quando Stasi va a processo, la legge gli consente di scegliere il rito abbreviato, il che riduce la pena prevista per l’omicidio. “Non appare meritevole di alcuna attenuante” dato il suo comportamento, senza pietà per la vittima e avendo sviato le indagini. La pena di 24 anni è ridotta di un terzo per il rito abbreviato, arrivando a 16 anni di condanna.
Le prove che hanno inchiodato Stasi
Chiara viene colpita all’ingresso, trascinata fino alle scale della cantina, sollevata con mani sporche di sangue e gettata giù. Le suole insanguinate delle scarpe dicono che l’assassino si ferma al gradino zero, poi si lava in bagno. È certo che l’assassino si pulisce le mani e, sul dispenser, ci sono solo le impronte di Stasi. Questo lo identifica come l’ultimo a contattare il dispenser, e quindi il killer. Una prova rafforzata dalla suola insanguinata sul tappetino del bagno, davanti al lavabo, che coincide con la taglia del fidanzato. Stasi possiede una bici nera da donna vista da una testimone e non ha un alibi in quei 23 minuti.
Dopo l’omicidio, tornerà a casa e fingerà di lavorare alla tesi. Proverà a chiamare Chiara più volte e solo dopo quattro ore, pur sapendola sola in casa, andrà da lei in auto indossando scarpe Lacoste. Dichiara di entrare, ma la perizia mostra che quando dice di aver visto Chiara senza vita sta mentendo. È statisticamente impossibile non sporcarsi le scarpe su quelle macchie di sangue fresco. Le conclusioni dei giudici affermano anche che è fisicamente impossibile vedere il corpo senza scendere.
Le bugie e gli errori
Il fidanzato parla di un incidente domestico, ma la scena del crimine non lo conferma. Stasi nasconde di possedere una bici nera da donna, che verrà sequestrata solo anni dopo. Il processo d’appello bis rivela che sono stati sostituiti i pedali su quella bici e che su altri pedali non sospetti è stato trovato il DNA della vittima.
Diversi carabinieri entrano in casa senza guanti. Le scarpe di Stasi vengono sequestrate solo il giorno dopo. Passano 40 giorni e i carabinieri notano un sistema d’allarme nell’officina di biciclette del padre di Stasi, ma non possono recuperare i dati del 13 agosto perché sono stati cancellati. Il computer acquisito dall’ufficio viene aperto dai carabinieri senza rispettare le procedure forensi.
Non viene sequestrata immediatamente la bici nera di Stasi, un’errore che influisce negativamente sulle indagini. Questo è stato riconosciuto dalla Cassazione.
Il movente
Il movente: un ragazzo modello, con una passione per la pornografia, uccide Chiara Poggi per motivi sconosciuti, considerandola una presenza pericolosa da eliminare. Dopo averla uccisa, riprende il controllo della situazione, continuando con le attività quotidiane come se nulla fosse accaduto.
Le gemelle Cappa e la famiglia Poggi
Si indaga anche su strani suicidi a Garlasco, piste sataniche e misteri legati al Santuario della Bozzola. Le gemelle Cappa, cugine della vittima, hanno un alibi e non sono presenti vicino al corpo di Chiara.
Critiche anche nei confronti del fratello Marco Poggi, che era in vacanza. I genitori non hanno mai saltato un’udienza dei processi e non hanno mai manifestato rabbia verso chi avevano accolto in casa e che poi si è rivelato l’assassino. Il verdetto di condanna è stato espresso in nome del popolo italiano. Per lo Stato, Alberto Stasi è colpevole dell’omicidio.