Montezemolo: «Mi dedico all’agricoltura e temo la morte improvvisa».
L’imprenditore: «Un infarto nel sonno ti ruba più vita e interrompe i progetti, e io ne ho ancora tanti. Scrivo le mie ultime volontà su un quadernino. Con Enzo Ferrari ebbi un colloquio postumo»
Non pensavo che Luca Montezemolo avrebbe accettato di parlare con me della morte. Insomma, la sua è una vita ancora a 300 all’ora, appena tornato da Londra, ospite della festa di compleanno di Eric Clapton. Possibile che con una vita così ricca abbia il tempo e la voglia di discutere la fine? Invece gli va.
«Ma certo, perché per me la morte è qualcosa di assolutamente
complementare alla vita. Ineluttabile fine di un percorso. Quindi sì che ci penso, anzi, vivo sapendo che prima o poi finirà. Ma proprio per questo cerco anche di mettere quel pensiero in un angolo, e concentrarmi invece su come vivere pienamente gli anni che mi restano.»
Ci auguriamo reciprocamente che siano tanti. Ma non le fa paura, la morte?
«Ci sono due modi possibili di uscire di scena. Il primo è quello tradizionale che io chiamo di “fine carriera”, per anzianità, e questo mi lascerebbe il tempo di fare tutte le cose che non ho avuto il tempo di fare. Per esempio: mi sono dato all’agricoltura. Penso che la qualità del cibo sia oggi un bene prezioso. Di questa morte da “fine vita” non ho paura. L’accetto. Invece mi fa più paura la morte improvvisa».
E qui trasecolo. A Napoli dicono: «Quant’è bella ‘a morte e’ subito…».
«Vero, magari si soffre meno: però il vero guaio della morte è soprattutto la sottrazione di vita. Una scomparsa improvvisa te ne ruba di più: la lascia incompiuta. Io ne ho ancora davvero tanti progetti. Ho cinque figli. L’ultimo ha solo 14 anni, e vorrei vederlo crescere».
La distinzione che fa Montezemolo è sottile. Ciò che temiamo, più della morte, è il morire.
«Mi turba il mistero di ciò che viene dopo. Penso spesso a mio padre e mia madre: cosa fanno, dove sono? Mi pensano? Mi proteggono? Mi angoscia non saperlo.»
È cattolico e prega.
«Sì, prego soprattutto per la salute dei miei figli. La fede mi aiuta. Ma non mi dà una risposta alla domanda numero uno: che succede dopo?».
Pedantemente insisto: dovrebbe saperlo avendo studiato dai gesuiti.
«Certo, lo so in linea di principio cosa dice la Chiesa. Ma voglio sapere concretamente che succede. Che cos’è quel momento? Che ne sarà della mia coscienza?».
Immagino che Montezemolo, da manager, stia già pensando a che cosa fare nell’altro mondo.
«Vorrei sedermi per ore con un “esperto di morte” per capire.»
«Un teologo può dirti che cosa accade spiritualmente, a me interessa l’aspetto pragmatico. L’essere umano è un insieme di corpo e anima.»
C’è ancora qualcosa per cui valga la pena di dare la vita?
«Ho un parente che è stato ucciso dai nazisti e quando leggo le lettere dei condannati a morte mi domando quanto potente fosse la molla interiore che consentiva loro di non avere paura. Oggi vedo indifferenza verso la libertà, il sacrificio di tanti è legato a un attaccamento al proprio Paese che oggi non vedo».
Vuol dire che è giusto morire per la libertà?
«Se per libertà intendiamo anche quella dei nostri figli e il futuro del Paese, sì. Ricordo il 1956 e l’eroismo dei ragazzi coraggiosi. Anche oggi abbiamo esempi simili in Ucraina, ma li stiamo dimenticando.»
Montezemolo ha avuto due grandi «padri». Che cosa ha provato quando sono morti?
«Dolore, disperazione. Mi domando spesso se loro ci vedono oggi. Rivolgo domande a entrambi, e mi autoconvinco delle loro risposte.»
Ha visto spesso la morte sui circuiti di Formula Uno.
«Sì, un tempo era un mestiere ad alto rischio. Ho vissuto da vicino la lotta tra la vita e la morte di Niki Lauda.»
Pensare alla morte vuol dire anche pensare all’eredità. Ha già ragionato sul suo testamento?
«Sì, ci penso. Ho 77 anni e so che sono gli ultimi giri di corsa. Voglio lasciare un’impronta, essere un punto di riferimento per i miei figli».
Berlusconi è stato bravo, in questo senso…
«Sì, la chiarezza nelle disposizioni scritte è fondamentale per evitare conflitti.»
Ha capito che cosa è successo in casa Agnelli?
«Non mi sarei aspettato una situazione così dolorosa e traumatica. Oggi i ragazzi danno per scontata una vita più facile. La cosa più ingiusta è la disparità di condizioni al nastro di partenza della vita.»
Torniamo all’eredità materiale.
«Nel fare testamento non si deve agire con la calcolatrice. Rispettare la diversità dei figli.»
Montezemolo ha un quadernino su cui scrive idee e disposizioni per il dopo. Sa di voler essere cremato, dove portare le sue ceneri e che ai suoi funerali vorrà una bandiera rossa della Ferrari.
Come vorrebbe essere ricordato?
«Vorrei essere ricordato innanzitutto come una persona perbene. Un buon padre. Un uomo che ha messo passione ed entusiasmo in tutto ciò che ha fatto».
Un patriota?
«Sì, perché no? C’è bisogno di patrioti, in un’Italia in difficoltà, con disparità crescenti.»