I gioielli della Corona non appartengono ai Savoia.
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Il tribunale di Roma ha respinto il ricorso della famiglia Savoia per il recupero dei gioielli della Corona, attualmente custoditi da 79 anni in un caveau della Banca d’Italia. La seconda sezione civile ha stabilito che i gioielli non rientrano fra i beni personali e quindi non devono essere restituiti.
La questione ha avuto inizio il 5 giugno 1946, tre giorni dopo il referendum che portò all’abbandono della monarchia. In quella data, il presidente del Consiglio chiese al re Umberto II la consegna dei gioielli, fino ad allora custoditi in una cassaforte al Quirinale.
Secondo lo Statuto Albertino, i gioielli erano stati dati “in dotazione” ai re per le loro funzioni, pertanto non erano proprietà personale.
Il ministro della Real Casa prese in consegna i gioielli e li portò al governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi. Da allora, i gioielli sono custoditi in un cofanetto presso la sede della Banca d’Italia a Roma, protetti da 11 sigilli, rimossi solo una volta nel 1976 per catalogazione.
Il cofanetto contiene 6.732 brillanti e 2.000 perle, per un totale di quasi 2mila carati. Una perizia effettuata da Bulgari nel passato stimò il valore dei gioielli a circa 2 miliardi di lire (circa 10 milioni di euro attuali), ma oggi potrebbero valere fino a 300 milioni di euro se venduti all’asta.
Con la nascita della Repubblica, tutti i beni della famiglia reale furono confiscati dallo Stato, ma i gioielli non furono mai oggetto di confisca. Nel 2021, la famiglia Savoia richiese la restituzione dei gioielli alla Banca d’Italia, senza successo. Nel 2022 intrapresero una causa civile sostenendo che i gioielli fossero stati acquistati o regalati alla famiglia. Tuttavia, anche il tentativo di sollevare una questione di legittimità costituzionale è stato respinto dai giudici.