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La Cgil e la Uil hanno commesso un errore.

La proposta di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è legge. Che significato ha?

«Con la legge Sbarra si è scritta una pagina storica per il mondo del lavoro. È stata una lunga marcia verso un nuovo modo di promuovere le relazioni industriali, verso accordi che assicurino salari più alti, maggiore stabilità dell’occupazione, più controllo su salute e sicurezza, giustizia nelle aziende. Abbiamo avviato questo cammino due anni fa, raccogliendo quasi 400mila firme. È una legge popolare che ora deve essere attuata in ogni luogo di lavoro».

È utopia pensare a una nuova stagione nei rapporti tra imprenditori e lavoratori?

«La legge è una risposta democratica ai bisogni concreti delle persone, verso un’innovazione che guarda al futuro, lontana da antagonismi e demagogia. È una svolta culturale oltre che normativa. Per la prima volta, la partecipazione è riconosciuta come motore concreto capace di rilanciare retribuzioni, produttività e benessere lavorativo».

La legge rappresenta una risposta a proposte referendarie definite «antistoriche»?

«Lo spirito di questa norma è all’opposto di quegli referendum. Qui si costruisce qualcosa di nuovo, si attua un principio costituzionale, si guarda al futuro garantendo nuovi diritti».

Il rinvio alla contrattazione collettiva è un punto di forza o di debolezza della norma?

«La legge mantiene i suoi capisaldi, riconoscendo quattro forme di partecipazione e valorizzando la contrattazione collettiva come fondamentale per accordi costruiti dal basso. Ci sono incentivi economici alimentati da un Fondo di 71 milioni, accessibile a tutte le aziende. Il CNEL vigilerà sull’applicazione della legge».

Perché una parte del centrosinistra si è schierata contro?

«È un errore politico non aver compreso il grande significato sociale di questa legge. Siamo orgogliosi del risultato, reso possibile da un forte lavoro collettivo e da un confronto aperto con le istituzioni».


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