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Motivi per cui De Maria era autorizzato a lavorare.

La decisione di concedere un permesso per lavoro è stata emessa in virtù di un percorso carcerario sempre positivo, anche durante i due anni di lavoro presso un albergo, senza che emergessero segnali premonitori dell’evento drammatico avvenuto. Questo è quanto si evince da una nota congiunta della Corte d’Appello e del tribunale di sorveglianza di Milano, a proposito di un caso in cui un uomo ha ucciso una collega barista e successivamente ha tentato di uccidere un altro collega, per poi suicidarsi buttandosi dalla terrazza del Duomo di Milano.

Tribunale di Sorveglianza: “Seguita la legge”

Nella nota si evidenziano i giudizi collegiali sulla persona, poiché il permesso scatta dopo l’approvazione di un programma predisposto dall’area trattamentale del carcere di Bollate. Questo programma, conforme all’articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario, consente ai detenuti di lavorare all’esterno. Si precisa che il provvedimento è stato assunto previa acquisizione di informazioni dalle Forze dell’Ordine, al termine di un’istruttoria condotta in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria e altri soggetti coinvolti nella gestione del trattamento detenuto, per garantire la rieducazione sotto il controllo degli operatori.

L’avvocato di De Maria: “Ritenuto idoneo al lavoro da tutti”

Il legale del soggetto ha confermato che il suo assistito era stato valutato come idoneo al lavoro da tutte le parti coinvolte. Seguiva De Maria da tre anni, a partire dalla condanna definitiva per un femminicidio avvenuto nel 2016. Ha sostenuto che la concessione del permesso per il lavoro derivava da una serie di relazioni effettuate negli anni, nelle quali non era mai emersa una valutazione negativa. È stato evidenziato che non c’erano motivi per negare il permesso, considerando le valutazioni positive ricevute.

In base alle affermazioni del legale e delle istituzioni giudiziarie, non era emerso nulla nel corso degli anni che potesse presagire gli eventi tragici successivi. Non c’erano indicazioni che potessero far supporre la possibilità di un nuovo femminicidio, né il tentativo di uccidere un altro uomo, fino alla decisione di suicidarsi. Il legale ha anche sottolineato che, durante la detenzione nel carcere di Bollate, dove molti detenuti lavorano, De Maria era sotto osservazione e valutazione, aveva partecipato a corsi e si presume avesse seguito un corso di recupero sulla violenza di genere. Non era emerso alcun elemento negativo tale da giustificare la negazione del permesso di lavoro, concesso dopo anni di valutazioni considerate corrette dal punto di vista giuridico.


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