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Fine vita: lettera ai presidenti delle Camere.

Il governo ha impugnato la legge regionale della Toscana sul fine vita in quanto ritenuta lesiva delle competenze esclusive dello Stato. La Corte Costituzionale, che nel 2019 e ancora nel 2024 aveva esortato il Parlamento a disciplinare la complessa questione del suicidio assistito, ha già indicato specifiche condizioni per l’accesso a tale pratica: una patologia irreversibile, sofferenze intollerabili, dipendenza da sostegni vitali e la capacità di prendere decisioni autonome e consapevoli. Se la normativa toscana lede formalmente una competenza statale, è necessario che lo Stato giustifichi il suo ritardo in materia.

Per questa ragione, si chiede che i presidenti delle Camere invitino i colleghi legislatori a discutere e votare. Esistono infatti proposte già presentate. È possibile che il presidente della Camera concordi con la necessità di superare l’ipocrisia attuale, come affermato da esponenti politici che affrontano direttamente le ingiustizie legate all’accesso ai protocolli di assistenza, denunciando le differenze tra chi può ricevere aiuto e chi è costretto a rimanere in uno stato di sofferenza.

Nell’incertezza dei trattamenti, le vite di questi malati sono in gioco. Nella fase terminale della loro esistenza, si avverte una disuguaglianza di status. Sul fine vita, molti provano dubbi etici e religiosi; tuttavia, l’assenza di dialogo non rappresenta una soluzione, ma un affronto ai diritti dei più fragili, negando il loro diritto all’autodeterminazione.

Nel lessico relativo al fine vita della Pontificia Accademia della Vita, la contrarietà al suicidio assistito e all’eutanasia è dichiarata, ma si apre una riflessione riguardo alla possibile interruzione della nutrizione e dell’idratazione per evitare l’accanimento terapeutico, dimostrando una discussione profonda e complessa che nel Parlamento non si è ancora concretizzata. Ignorare questa realtà è ingiusto e inconsistente.


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