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La vicenda di Fausto e Iaio, uccisi a Milano 47 anni fa.

Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci vennero uccisi il 18 marzo 1978 in via Mancinelli, a Milano. Tanti sospetti e ipotesi, nessuna certezza: ora il caso è stato riaperto

La Giudice per le indagini preliminari Maria Idria Gurgo di Castelmenaedo ha deciso di dare il via libera alla riapertura delle indagini sull’agguato che portò alla morte di Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci, il 18 marzo 1978. Ripubblichiamo l’articolo di Andrea Galli che, su «7», ripercorreva la loro storia.

Storia di Milano, storia d’Italia, storia eterna. Il duplice omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, avvenuto alle 20 di sabato 18 marzo 1978 in via Luigi Mancinelli. La strada, a senso unico, è stretta tra il retro della parrocchia e un deposito di tram, e ha una targa distinta fin dall’inizio.

Una scelta popolare e non istituzionale: è indicato via «Fausto e Iaio», i due 19enni che si ricordano in murales antichi e recenti, oltre che nella lapide dedicata ai «compagni assassinati dai fascisti».

In questo angolo periferico, un quartiere con piccoli negozi di scarpe e cartolerie, già inizialmente si pronunziò una sentenza dai familiari, amici e abitanti: i neofascisti erano gli assassini dei ragazzi, rivendicando l’attentato. Ma la giustizia non ha confermato questa versione. Chi era il mandante e chi i killer?

Accogliendo la richiesta del sindaco di Milano Giuseppe Sala, convinto dal consigliere del Pd Rosario Pantaleo, la Procura ha deciso di aprire un nuovo fascicolo per cercare elementi inediti dalle perizie e comparazioni balistiche, dopo un indagine complessa. [Oggi, 6 maggio 2025, la riapertura da parte della gip].

Gli impermeabili

Rincasavano, Fausto e Lorenzo. Trascorsero il pomeriggio tra il parco Lambro, noto per l’epidemia di eroina, e il centro sociale Leoncavallo. Procedevano a piedi. Superarono piazza San Materno e girarono a sinistra.

Gli assassini li aspettavano. Erano tre. Questo conferma la testimonianza di una donna e delle sue due figlie che si trovavano casualmente lì.

I killer, descritti come: numero 1: magro, circa metro e settanta, capelli scuri, impermeabile chiaro; numero 2: simile al primo ma con giubbotto cammello; numero 3: imprecisato ma anche lui con impermeabile chiaro.

Tre assassini, tre fantasmi. Duplice omicidio a colpi di pistola. Non un revolver, ma una semi-automatica (una Beretta), che scarica bossoli. Sull’asfalto insanguinato di via Mancinelli/via Fausto e Iaio, non c’erano bossoli. Le testimoni notaro un dettaglio: uno dei tiratori aveva un sacchetto di plastica.

Una pratica comune della destra eversiva romana era avvolgere l’arma per raccogliere i bossoli e sottrarre indizi agli investigatori. Anche quegli impermeabili richiamavano l’abbigliamento caratteristico dei neofascisti.

Le bugie del sacerdote

Nel maggio successivo, un avvocato rivelò agli inquirenti che un prete gli aveva confidato il nome del mandante, sentito da due donne che lo avevano avvicinato.

L’accusato era un venditore di droghe ai coetanei, anche a Fausto e Lorenzo, verso i quali complottava per una vendetta a causa di cessioni non pagate.

Tuttavia, quando raggiunta dalla polizia, il sacerdote confuse tutto, mentre le due donne, la fidanzata di Lorenzo e la titolare di una pizzeria, dichiararono che il prete avesse inventato la storia.

Il pusher risultava estraneo poiché la pista della droga non era valida, e di certo un creditore non ucciderebbe mai un debito, semmai il contrario.

Ci fu un significativo disordine nelle indagini, accentuato dalla rivalità tra poliziotti e carabinieri. Era un classico.

Il cappello insanguinato

Un berretto di lana. Colore blu. Cadde o venne abbandonato vicino a Fausto e Iaio. Non apparteneva a loro. Un neofascista indossava un berretto identico, giorni prima, dopo essere stato aggredito al parco Lambro da estremisti di sinistra.

Il neofascista aveva un alibi quella sera, confermato solo in parte dagli amici. Nelle ore successive al duplice omicidio, scomparve per timore di ritorsioni. E riguardo al cappello?

Nel decreto di archiviazione del dicembre 2000, firmato dal giudice Clementina Forleo, si affermava che il cappello «non verrà mai sottoposto ad alcun accertamento poiché non più presente tra i reperti.» Nel 1988, un responsabile dichiarò che non era stato rinvenuto e probabilmente eliminato per igiene a causa di alluvioni nel luogo in cui era custodito.

I romani

Massimo Carminati, il boss della banda della Magliana, arrestato nel 2014 per «Mafia capitale», era a Milano negli anni dell’omicidio di Fausto e Lorenzo. Secondo le indagini del giudice istruttore Guido Salvini, il killer numero 1 descritto sarebbe stato proprio Carminati. Prove decisive? Nessuna.

Proseguendo, Angelo Izzo, noto come «il mostro del Circeo», riferì di un episodio simile all’omicidio di Fausto e Iaio, condotto da membri dell’estrema destra romana incaricati di assassinare Andrea Bellini, esponente del Leoncavallo. L’attentato fallì, poiché Bellini stava preparando un libro sull’eroina.

Inoltre, Claudio Bracci e Mario Corsi, neofascisti, avevano fotografie dei due ragazzi assassinati. Gli investigatori rinvennero queste immagini nella casa di Bracci a Roma. Scrisse Salvini: «La disponibilità di queste immagini sembra giustificata, essendo fotografie di avversari politici.»

Andando avanti. Prima e dopo il 18 marzo 1978, un gruppo di neofascisti sostò a Cremona. C’era Corsi tra loro. Prove decisive contro Bracci e Corsi? Nessuna.

Via Montenevoso

Fausto Tinelli abitava in via Montenevoso 9, nel condominio di fronte al palazzo al civico 8, famoso per la scoperta della base delle Brigate rosse dai carabinieri del generale Dalla Chiesa.

All’interno c’era l’archivio delle Br e parte del memoriale di Aldo Moro. Fausto e Iaio potevano aver assistito a qualcosa che non avrebbero dovuto vedere. Testimoni scomodi da eliminare.

Tuttavia, il giudice Forleo ha affermato nella sentenza di archiviazione del 1990 che «la rivendicazione del delitto da parte di più forze della destra eversiva mina alla base la logica di tale spiegazione. Non si comprende perché avrebbero dovuto accollarsi un delitto di opposizione.» Un possibile messaggio alle Brigate rosse sulla gestione degli arresti dopo la scoperta della base terroristica. Un avvertimento, forse «operato da forze come i Servizi segreti».


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