Oppiacei ampiamente usati nell’antico Egitto.

Un recente studio ha confermato i risultati precedenti, evidenziando tracce di pinoli o olio di pino mediterraneo, liquirizia, sali di acido tartarico riconducibili alla bevanda fermentata e residui di fiori di cleome, una pianta con annotazioni medicinali.
La diffusione degli oppiacei nell’antico Egitto
Ora si possono includere anche gli oppiacei tra le sostanze farmacologiche utilizzate dagli antichi egizi. I ricercatori hanno studiato un vaso in alabastro conservato al Yale Peabody Museum, un recipiente intatto e inciso in quattro lingue antiche, contenente un riferimento a Serse I, sovrano dell’Impero achemenide dal 486 al 465 a.C.
Particolare attenzione è stata riservata a un residuo marrone scuro sulle pareti interne del vaso. In passato, si era ipotizzato che questi contenitori potessero essere utilizzati per cosmetici, profumi o messaggi segreti tra sovrani e funzionari. Sono anche note diverse ricette di farmacopea in opere classiche come il Codex di Anicia Giuliana della De materia medica di Dioscoride. Per le analisi, sono stati impiegati strumenti non invasivi, tra cui analizzatori Xrf portatili e spettroscopi infrarossi a trasformata di Fourier portatili.
I risultati hanno mostrato la presenza di distinti biomarcatori dell’oppio, tra cui noscapina, idrocotarnina, morfina, tebaina e papaverina. Questa scoperta si allinea con un precedente ritrovamento di residui di oppiacei in altri vasi egizi e in piccole brocche cipriote provenienti da una tomba di mercanti a sud del Cairo, risalenti al periodo del Nuovo regno (XVI–XI secolo a.C.).
Le conclusioni impongono una rianalisi dei vasi in alabastro dell’antico Egitto rinvenuti nel tempo, in quanto potrebbero contenere tracce di antichi oppiacei. Un buon punto di partenza sarebbero i vasi trovati nella tomba di Tutankhamon nel 1922, molti dei quali presentano lo stesso residuo organico scuro e viscoso. Un tentativo di studio risale al 1933, quando fu condotta una ricerca preliminare senza la tecnologia necessaria per identificare i composti, riuscendo comunque a stabilire che non si trattava di unguenti o profumi. Da allora, non ci sono stati ulteriori tentativi di analisi.



