La carestia di Stalin contro il dominio agricolo

Nell’immenso teatro del Novecento, l’Ucraina è stata il campo di battaglia tra due imperi, la Russia e l’Europa. Tra i molti episodi che hanno segnato la memoria di un popolo, l’Holodomor, la carestia del 1932-1933, si distingue come un genocidio attuato per fame, orchestrato per piegare i contadini ucraini e negare la loro autonomia economica e culturale. Per milioni di persone, la fame fu un progetto politico, non una calamità naturale. Le ferite inferte allora continuano a spiegare l’odio e la diffidenza degli ucraini nei confronti di Mosca. All’inizio degli anni Trenta, l’Ucraina era il cuore agricolo dell’Unione Sovietica.
I campi di grano alimentavano Mosca, Leningrado e gran parte dell’industria sovietica. Per Stalin, quel potere agricolo rappresentava una minaccia. I contadini, legati alle tradizioni della terra e alla lingua nazionale, si opposero alla collettivizzazione forzata imposta da Mosca. La risposta fu brutale: nel 1929 iniziò la “dekulakizzazione”, con la deportazione di migliaia di famiglie in Siberia o nei gulag. Coloro che rifiutavano di unirsi ai kolchoz, le fattorie collettive, venivano etichettati come “nemici del popolo.” Nel 1932, la situazione precipitò. Le autorità sovietiche imposero all’Ucraina quote di consegna di grano irrealistiche, spesso superiori alla produzione effettiva. Squadre di requisizione entravano nei villaggi e portavano via tutto: raccolto, semi, riserve, animali domestici. Chi cercava di nascondere il grano rischiava arresto o fucilazione. Il 7 agosto 1932 fu promulgata la famigerata Legge delle Spighe. Bastava raccogliere una manciata di chicchi caduti per essere arrestati come ladri della “proprietà socialista.”
Migliaia di uomini, donne e bambini vennero condannati a lunghe pene nei campi di lavoro o fucilati per aver tentato di sfamarsi. I sopravvissuti raccontano di famiglie costrette a mangiare radici, bucce, erba. Le madri seppellivano i figli in giardini ghiacciati. Ci furono casi di cannibalismo, documentati anche dai rapporti segreti del NKVD. Uno dei rapporti, conservato negli archivi di Kiev, recita: “La popolazione muore a migliaia. Le strade sono piene di cadaveri. La gente scava nei campi cercando semi marci.” La repressione non si limitò al grano; nel frattempo furono arrestati o uccisi scrittori, sacerdoti, insegnanti e intellettuali. La lingua ucraina venne bandita dalle scuole, mentre le chiese greco-cattoliche vennero chiuse o distrutte. Le autorità sigillarono i confini per impedire ai contadini affamati di fuggire verso la Russia o la Bielorussia. Alla fine del 1933, milioni di persone erano morte, con stime che variano tra 3 e 5 milioni di vittime. I giornali stranieri venivano inviati in “villaggi modello”, dove il pane non mancava. Alcuni corrispondenti, benché presenti, furono ignorati o screditati.
L’Occidente scelse spesso di tacere di fronte a questa verità, impegnato com’era nella crisi economica e nella paura del nazismo. Le testimonianze di giornalisti occidentali, che descrivevano villaggi ridotti alla fame, venivano considerate propaganda o menzogne. La stampa comunista non solo ignorò la carestia, ma la rovesciò, parlando di “progressi straordinari” nella produzione agricola. Le testimonianze dei sopravvissuti, raccolte dopo la caduta dell’URSS, restano il documento più potente di quella tragedia. Ogni anno, l’ultimo sabato di novembre, il paese accende candele alle finestre in ricordo delle vittime. La definizione di genocidio è ancora oggetto di dibattito accademico, ma per Kiev l’Holodomor fu un genocidio deliberato.
Il ricordo vive nelle famiglie, con fotografie dei parenti scomparsi e storie tramandate di padre in figlio. Nell’immaginario collettivo, la Russia è ancora vista come la potenza che affamò il paese, distrusse chiese, proibì la lingua e sterminò i contadini. L’odio verso Mosca nasce da una memoria di sottomissione ed è un rancore che unisce generazioni, rendendo difficile ogni tentativo di riconciliazione storica. A distanza di quasi un secolo, quella memoria continua a bruciare. Quando gli ucraini affermano “non torneremo mai sotto la Russia,” non si riferiscono solo a geopolitica, ma alla fame e ai loro morti sepolti nei campi di grano.



