Storia

Omosessualità, verità e corpo sofferente.

Il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia, si concludeva tragicamente la vita di Pier Paolo Pasolini. Cinquant’anni dopo, la sua figura continua a dividere e provocare, risuonando come un’eco inquieta nel cuore della cultura italiana. Poeta, regista, romanziere e polemista, Pasolini è stato un corpo in rivolta contro ogni conformismo.

### Morte di Pasolini: le accuse legate alla sua omosessualità

Il potere, di destra come di sinistra, non ha mai potuto sopportarlo. Tutto cominciò nel 1949, quando, giovane insegnante e militante comunista a San Giovanni a Casarsa, venne denunciato per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori. Le accuse, originate dalla sua omosessualità vissuta apertamente, segnarono la sua vita e carriera politica.

### Gli scontri di Valle Giulia

Il Partito Comunista Italiano, guidato da Palmiro Togliatti, reagì con durezza: espulsione immediata senza discutere il valore dell’uomo o del suo impegno politico. Pasolini raccontò anni dopo l’umiliazione di quei giorni: “Mi hanno cacciato non per le mie idee, ma per la mia natura.” Da allora, il suo rapporto con il PCI rimase ambivalente. Ammirava la forza popolare e la visione storica del partito, ma detestava l’ipocrisia moralista e la rigidità ideologica. Scriveva: “Il vero fascismo è il potere della televisione e dei consumi.”

Nel 1968, Pasolini entrò nuovamente in rotta di collisione con la sinistra, questa volta con i giovani. Durante gli scontri di Valle Giulia a Roma tra studenti e polizia, scrisse: “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri.”

### Lo scandalo della verità

Queste parole esplosero come una bomba. Gli studenti lo accusarono di tradimento e cinismo. Ma Pasolini non cercava di compiacere nessuno; voleva solo esprimere la sua verità. I poliziotti, figli del popolo, rappresentavano per lui il volto autentico della classe subalterna; gli studenti erano già figli della borghesia. Il suo era un atto di amore e disperazione. Si sentiva orfano di un popolo vero, ormai perduto nella modernità. Fu accusato di essere reazionario, ma in realtà era profondamente rivoluzionario, non accettando l’idea di progresso come valore in sé. Scriveva: “Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore.”

Cinquant’anni dopo, Pasolini rimane una ferita aperta. Il suo corpo martoriato, trovato all’alba del 2 novembre 1975, è diventato simbolo di un’Italia che non vuole guardarsi allo specchio. Il mistero della sua morte, tra versioni contraddittorie e sospetti di complotto, ha contribuito a farne un mito. Oltre alla tragedia, resta la lucidità del suo pensiero e la radicalità della sua visione.

Pasolini è stato un poeta che ha amato l’Italia, un intellettuale che ha cercato la purezza dentro la sporcizia, un comunista che ha sfidato il suo partito, un credente senza fede che ha trovato il sacro nei corpi degli ultimi. Le sue parole suonano ancora attuali: “Io so. Ma non ho le prove.” Era il suo modo per dire che la verità, in Italia, è sempre un territorio proibito.


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