Manin e Pallavicino: «Il piemontesismo, nemico temuto»

Daniele Manin e Giorgio Pallavicino, insieme a La Farina, fondano la Società Nazionale Italiana per unire il Paese sotto i Savoia. Tuttavia, nelle corrispondenze emergono diffidenze verso Cavour, le utopie di Mazzini e i fermenti murattiani a Napoli.
«Nel dubbio che le notizie inviate a Ulloa a Torino fossero inesatte, ho scritto a Tecchio, il quale mi rispose “credo mendace la voce che il Ministero piemontese favorisca i maneggi della setta murattiana. Quella voce non ha credito alcuno in Torino, salvo forse fra gli oppositori sistematici del governo […]” Cavour ha grande capacità e fama europea. Sarebbe gravissimo averlo nemico. Conviene lavorare incessantemente a formare l’opinione. […] Se in seguito la pubblica opinione domanderà imperiosamente l’impresa italiana e Cavour vi si rifiuterà, allora vedremo. Ma io credo Cavour troppo intelligente e troppo ambizioso». È il 29 agosto 1856 e Manin, avvocato rivoluzionario di Venezia, scrive a Pallavicino, nobile milanese ed ex mazziniano, attivissimo per la causa dell’unità nazionale.
«Manin e Pallavicino s’incontrarono esuli a Parigi e si amarono».
La penisola è divisa: Regno di Sardegna, Lombardo-Veneto sotto l’Austria, Stato Pontificio, Regno delle Due Sicilie, Granducato di Toscana. Le aspirazioni unitarie, segnate dai fallimenti del 1848, considerano le idee di Mazzini utopiche. Il Piemonte ambisce a un ruolo di guida per l’unità, sostenuto da una burocrazia solida e appoggi esteri. Nell’ambito di questo clima, Manin, Pallavicino e La Farina fondano a Torino un nuovo partito: la Società Nazionale Italiana «intende anteporre a ogni predilezione di forma politica il principio dell’indipendenza ed unificazione italiana». Questo è il piano: un partito che lavora per costruire il consenso necessario a raggiungere l’unità mantenendo la monarchia.
L’iniziativa è ben vista da Cavour, attento a un movimento favorevole al Piemonte non egemonizzato dai repubblicani. Pallavicino, tuttavia, nutre dubbi su Cavour e scrive a Manin: «Noi abbiamo nel piemontesismo un nemico sommamente pericoloso. […] Camillo Cavour è piemontesissimo!». Ma il dado è tratto; la Società Nazionale Italiana deve farsi conoscere. Manin, sempre attivo, invia a Pallavicino notizie dall’Italia.»
Mazzini riscuote ancora grande influenza. La sua idea di una repubblica fondata sulla sovranità popolare e sull’educazione appare una minaccia per il status quo della casa Savoia. A Napoli, persistono simpatie murattiane, mentre Pallavicino comunica ai suoi interlocutori che il governo piemontese non favorisce nel concreto i murattisti, pur senza opporvisi. La maggioranza dei Napoletani pare sostenere il programma del partito nazionale, ma Pallavicino non è sicuro dell’atteggiamento del ministero sardo. Manin osserva:_«…finché l’idea nazionale non è notoriamente accettata, l’esitazione del governo piemontese è naturale. […] La monarchia piemontese non può tirare la spada e gittarne il fodero finché non è garantito il concorso leale di tutta la nazione».
A settembre del ‘56, Pallavicino scrive a Mazzini auspicando una convergenza: «Vi ringrazio per la prova di fiducia. Io dissento da voi ma vi stimo e vi amo. […] Riteniamo indispensabili alla guerra d’indipendenza i centomila soldati della monarchia piemontese. Vogliamo quindi allettare il monarca a essere con noi, offrendogli la corona d’Italia e minacciando una rivoluzione repubblicana».
Mazzini non smetterà di opporsi alla monarchia, e la Società Nazionale Italiana si rivelerà utile a creare consenso pubblico a favore di Cavour, preludio del progetto unitario guidato dai Savoia. Questo verrà ribadito da Manin in vari interventi successivi: «Se l’Italia rigenerata debba avere un re, non débb’ essere che un solo, e non può essere che il re di Piemonte».