Storia

Il fantasma dell’Urss nasconde i nostri problemi attuali.

Per decenni ci è stata raccontata una favola rassicurante: noi, l’Occidente, eravamo il regno della libertà, dell’abbondanza e delle infinite opportunità; loro, l’Unione Sovietica, rappresentavano il grigiore, la fame e la coda davanti ai negozi vuoti. Una narrazione ben congegnata, utile a tranquillizzare i cittadini piuttosto che a rivelare la realtà.

Durante la Guerra Fredda, l’esistenza dell’Urss costituiva un costante stimolo. Per dimostrare che il capitalismo era “più umano” del socialismo, l’Occidente ha creato (e finanziato) welfare generosi, scuole pubbliche efficienti, sanità universale e case popolari di qualità. Il messaggio implicito era chiaro: “Non serve la rivoluzione, qui viviamo già meglio di loro”.

L’Urss era un sistema a partito unico, ma vi erano comitati e assemblee che eleggevano rappresentanti all’interno di un quadro ideologico preciso. Non si trattava della nostra democrazia, che in quegli anni con mille difficoltà esprimeva pluralità, ma nemmeno di una caricatura monocromatica come spesso presentata dalla propaganda. In quel contesto sono emerse vette artistiche straordinarie, pur sotto censura, con scuole d’arte e ingegneria di prestigio.

In Occidente, un algoritmo di una piattaforma di streaming o un editore timoroso possono silenziare un’opera “non monetizzabile” senza bisogno di polizia politica. La censura sovietica era diretta, brutale e dichiarata. La nostra è morbida e invisibile, legata a interessi pubblicitari e linee editoriali “prudenziali” che occultano ciò che non genera profitto o che risulta scomodo. È più elegante, ma proprio per questo più difficile da combattere.

Negli anni ’90, con il crollo dell’Urss, svanisce la necessità di dimostrare qualcosa ai cittadini. Si sviluppano le privatizzazioni selvagge, lo smantellamento progressivo della sanità e della scuola pubblica, con un lavoro sempre più precario, spacciato come “flessibile”, e crescenti disuguaglianze. Ma non c’è nulla di cui preoccuparsi, ci sono sempre documentari in onda sulle file sovietiche per il pane, così ci si ricorda che “poteva andare peggio”.

Il trucco è stato questo: presentare l’Urss come un inferno senza sfumature, ignorandone i punti di forza — uguaglianza materiale, accesso universale a casa, lavoro, sanità e istruzione — per evitare che la gente si domandasse: “Perché non possiamo avere certe cose, senza rinunciare alle libertà politiche?”. Meglio dire che tutto era marcio, così nessuno si pone domande. Oggi, basti evocare la parola “comunismo” per mettere a tacere qualsiasi critica al mercato totale. Nel frattempo, mentre ridiamo delle loro code per il pane, noi facciamo file interminabili ai pronto soccorso; mentre accusiamo loro di avere “un solo partito”, qui i partiti si moltiplicano solo per ripetere le stesse cose.

Il nemico è scomparso da trent’anni, ma il fantasma funziona ancora benissimo: finché guardiamo nello specchio rotto dell’Urss, non ci accorgiamo della polvere che abbiamo in casa e, soprattutto, ci convinciamo che non abbiamo alternative.


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